Apparati

Piccola antologia

Enrico Baj, Dell’incisione

Il rame, la pietra, un foglio, una lastra, un pezzo di seta intelaiato, tutto è buono per farne una stampa. Si comincia sempre col rame, l’acido e la cera; poi le cose si complicano, perché vuoi metterci del colore e dello spessore e perfino materie e oggetti disparati. Mi piace molto fare incisioni e stampe servendomi delle varie tecniche, comprese quelle fotografiche.
Sono estremamente stimolato dai possibili rapporti tra incisione e pittura, come dall’impiego, quando lo si possa, delle medesime tecniche, intendo anzitutto il collage che, nelle mie stampe, ho usato sempre più spesso: carte dipinte per i fondi, etichette di vini e di liquori per i volti, svariati elementi decorativi di carta per ricavarne questa o quella figura. Si possono anche usare insieme le varie tecniche e mischiare la lito con la serigrafia e l’incisione, spruzzarvi sopra con la pistola il velluto impalpabile e cospargere tutto di brillantine.
E se anche tutto questo ti viene a noia, prendi un qualcosa di preferibilmente piatto, mettilo sulla lastra e, dopo averlo imbevuto di inchiostro, passalo sotto la pressa e la impronta meravigliosa di questo qualcosa si trasmetterà al foglio. Mettici pure tutto quel che ti pare; inchiostra, tira sotto pressa e il gioco è fatto: l’impronta è là, stampata sul tuo «piccolo Gesù»[1].
Se poi ti stanchi anche della calcografia e ti metti a disegnare seriamente sulla pietra da uno stampatore come Michel Cassé o da un altro tipo, la pietra, con la sua grana sottile, dolce, eccitante, ti darà un vero piacere sensuale. Io faccio così col rame e la pietra e vi aggiungo tutto quanto è possibile incollarvi o schiacciarvi e poi lavoro di découpage e se questo non basta, uso del bitume e perfino l’acquatinta e lo zucchero per disegnare in punta di penna. Via via che aggiungi cose, la tua incisione non è più un’incisione, è quasi divenuta un quadro o un multiplo; e allora tu te la stampi oppure la fai stampare e poi firmi, firmi, firmi sempre. Se l’incisione mi stufa e voglio fare qualcosa che abbia peso e dimensioni, qualcosa che non si può arrotolare né spedire per posta, allora senza pietra e senza pressa, posso pensare a un bel multiplo; multipli e incisioni sono la stessa cosa: numerati, firmati e fabbricati in serie. Tra i multipli puoi usare le tecniche e le tecnologie più svariate, quelle artigianali e quelle industriali; puoi fare cose degne dei preziosi lavori a mano dei bei tempi andati: come una signorina di buona famiglia, ho usato il ricamo e le paillette, il collage di pietruzze e conchiglie, il legno intarsiato, i palloncini da gonfiare, i cubi, gli specchi, ecc. Tu fai la maquette, ti cerchi l’artigiano per realizzarlo e poi, di nuovo, firmi, firmi, firmi sempre.

“Nouvelles de l’estampe”, dicembre 1973 (tratto da Enrico Baj, Autodamé. Collage e scritture, a cura di Angela Sanna, con una nota di Roberta Cerini Baj, Milano, Abscondita, 2023, pp. 106-107).

Jan van der Marck, Enrico Baj quale illustratore di libri

[…] Nel dopoguerra, nel mondo dei libri illustrati, giunse un artista singolarmente preparato, per intelligenza, spirito, contatti e perseveranza e pure dotato di singolare talento per l’espressione grafica. Enrico Baj cominciò a fare incisioni quando era studente a Brera. E si comprò subito i necessari strumenti e ingredienti per farsi le incisioni da sé, a casa. E, quel che più è importante, fu la sorgente della sua ispirazione e la consistente attrazione, per quattro anni, verso il De Rerum Natura di Lucrezio.

La sua carriera di pittore, di portaparola del Movimento Nucleare, di organizzatore di esposizioni delle sue opere e di quelle dei suoi colleghi, lasciò a Baj poco tempo per cercare uno sbocco per le sue incisioni […].
Il Vollard di Enrico Baj divenne Arturo Schwarz, un poeta divenuto libraio e mercante d’arte, con una forte inclinazione verso il Surrealismo. Dopo ben cinque anni dalla loro esecuzione, Schwarz offrì a Baj l’occasione di stampare cinquantun esemplari delle incisioni ispirate a Lucrezio e di pubblicarle con una introduzione (quindi non propriamente un libro) del poeta e filologo Roberto Sanesi. Vi sono mille ragioni per dare rilievo a questo primo libro di Baj. Ci sono voluti anni per farlo; e poi il libro riflette sia il suo classicismo, sia il suo stile nucleare. Tutto ciò dimostra la stretta identificazione del pittore col filosofo, nei termini della sua visione sull’origine della materia, sulla genesi dell’universo, sul mondo umano e animale e sul ciclo della vita, dalla nascita alla morte […].

In Baj. Catalogo generale delle stampe originali, Milano, Electa, 1986, pp. 21-22.

Giorgio Upiglio, Dalla lastra “di primo stato” al “bon à tirer” 

Prima della compilazione di questo catalogo Baj e io non sapevamo che quasi la metà delle opere elencate erano state realizzate nella mia stamperia. Duecentottantasei matrici su seicentocinquanta circa. Più che il dato numerico è significativa la lunga, costante collaborazione, iniziata nel 1962, che senza soste continua ancora oggi. A Baj piace lavorare nella stamperia, inventare, creare le matrici “sul posto”, sperimentare ogni tecnica, adattarla alle sue esigenze creative coinvolgendomi, con i miei collaboratori, in un continuo scambio di idee: dall’acquaforte tradizionale, cioè ricoprire la lastra di una vernice a cera sulla quale Baj con una punta d’acciaio esegue il disegno che poi sarà inciso dall’acido, a quelle più inventate, più complesse. Qui la collaborazione con l’artista diventa più attiva, perché dobbiamo trovare il modo di trasferire e incidere sulle lastre nastri di tela, lamierini traforati, broccati, pizzi, passamanerie, tessuti diversi; imprimere elementi di meccano, medaglie, catarifrangenti, tappi a corona, fregi, gradi o quant’altre cose Baj porta in stamperia per comporre le sue opere. La lastra spesso viene completata con interventi di acquatinta, e altre tecniche quali maniera a zucchero, vernice molle, carburundum, oppure con collages di etichette, elementi decorativi e stoffe. In tale processo creativo l’immagine si forma in diverse fasi, cui fanno seguito le morsure della lastra in “primo stato”; vi sono poi altri passaggi fino al “bon à tirer”, che premia un lavoro collettivo, fatto di ricerca, invenzione, intuizione. La riuscita dell’opera appaga l’artista e aggiunge nuove conoscenze tecniche alla nostra esperienza di stampatori.
La stamperia è anche luogo di incontri e Baj, che ha il più alto numero di presenze, conosce ormai tutti, addetti ai lavori e no. Ci si incontra con gli amici poeti, scrittori con cui si son fatti libri e cartelle e naturalmente con pittori, scultori con cui ha diviso lo stesso tavolo di lavoro: Giorgio de Chirico, Wilfredo Lam, Lucio Fontana, Henri Goetz, Luciano Minguzzi, Jim Dine, Dino Buzzati, Leo Lionni, Francisco Corzas, Günther Grass e molti altri. Nel 1970 si incontra casualmente con Alechinsky e Folon, suoi amici, e con loro improvvisa una incisione a tre mani: sulla lastra i segni dei tre si mescolano e si completano scambievolmente.

Stampo il “bon à tirer” dopo un paio d’ore di lavoro, per il titolo dell’opera ci pensa Alechinsky: Folobajinsky. Adesso nuove lastre sono in lavorazione e io aspetto di vedere quali oggetti usciranno dalle tasche di Baj. Trasferiremo tutto sulla lastra, ripasseremo al torchio e stamperemo.

In Baj. Catalogo generale delle stampe originali, Milano, Electa, 1986, p. 45

[1]  Il «Gesù» è uno speciale foglio da stampa che porta in filigrana il monogramma del Cristo «I.H.S.»; il suo formato è di cm 56 x 76. Il «piccolo Gesù» sta a indicare il formato di un foglio da stampa di cm 56 x 72 [N.d.T.].